martedì 2 aprile 2013

Emigrati o expat?

Quando arrivi al porto di Civitavecchia e ti imbarchi su una nave Tirrenia è difficile pensarsi un expat; più semplicemente sei un emigrante, uno che un tempo lontano ha lasciato la propria terra in cerca di fortuna.
Ti senti uno che per le Feste torna a casa con le quattro cose con cui era partito, buste comprese, e con la sottile consapevolezza che poi in definitiva non è che abbia fatto proprio fortuna, ma sicuramente ha vissuto intensamente e ha capito meglio il mondo.


Per voler risparmiare stavolta ho passato la notte nelle poltrone di seconda classe, dopo una prima infiltrazione clandestina in quelle di prima, cacciata via e riportata sulla via dell'onestà da due allegre comari (sarde) che alle 11 di notte contiunuavano a conversare sguaiatamente noncuranti di chi voleva dormire.
Le poltrone di 2a classe sono più strette e con la spalliera meno reclinabile.
Dopo 8 inspiegabili ore di navigazione i piedi erano gonfi e non riuscivo più a infilarmi le scarpe.
L'altoparlante continuava ad avvisare che la nave sarebbe attraccata alle 07.00 circa (sono anni che viene dato questo insulso annuncio).
Sul ponte ecco l'alba a rinvigorire lo spirito.


E' l'ingresso nel porto di Olbia, sullo sfondo c'è l'Isola di Tavolara.
Dopo l'arrivo al porto e la corsa alla stazione, il resto è Sardegna che corre dai finestrini del treno.
Ruscelli e fiumiciattoli di nuovo gonfi d'acqua, placide pecorelle che pascolano tra e rbe e asfodeli in fiore.
Nuraghi fagocitati dalle case.
Spazi immensi e pieni di tempo. Lentezza.
I giorni successivi, sempre benedetti da una pioggia incessante, li ho trascorsi a salutare parenti, cugini e amici, ricordando i vecchi tempi, quando appena ventenni il giorno di pasquetta lo si passava in campagna per un sontuoso spuntino ( così noi sardi chiamiamo i pasti tra amici).
Si partiva con macchine e trattori verso prati ombreggiati e si stava tutto il giorno all'aperto a fare giochi più o meno cretini, ridendo a crepapelle e mangiando i soliti gamberoni piccanti al forno, le lasagne e la carne arrosto.
Al prossimo rientro ci siamo ripromessi di rivedere insieme le foto di quei tempi.
Quattro giorni sono volati, anche allietati da una bella notizia di cui vi racconterò più avanti.
Il giorno di Pasqua è stato tutto per i cibi tradizionali...


Il piatto tipico del mio paese si chiama "Su succu", nome non traducibile in Italiano, pena cambiarne il significato.


Gli ingredienti sono semplici: pasta fatta in casa, formaggio fresco e secco, brodo di carne e zafferano.
Il sapore è deciso, non è per palati delicati!
Chi ne volesse sapere di più potrebbe cercare informazioni sulla "Sagra de Su Succu" che si svolge a Busachi ogni anno a Settembre.

                                       

E' una bella giornata di festa durante la quale le ragazze vestite con l'abito tradizionale portano in corteo i canestri colmi di pasta, prima che venga cotta nel brodo e lasciata asciugare...che delizia!!!
Dopo questo tuffo nella "nauturalità" della vita, dove ogni cosa ha il suo posto e il suo senso, eccomi di nuovo a Spoleto, domani si torna a scuola!
E ancora piove!

4 commenti:

  1. Quanta nostalgia mi hai fatto venire...un saluto da un'expat ;-)

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  2. Anche tu sarda?ti seguiro' sul tuo blog!

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  3. Che bella la foto dell'alba! Ecco, specializzati in qualche piatto vegano-sardo, vediamo un po' cosa riesci a trovare! Io sto facendo il post-pasqua a Roma ma solo 3 giorni, domenica all'alba riparto!

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  4. che bello! mi hai fatto venire tantissima voglia di andare in sardegna. non via nave in seconda magari.... ;/

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