mercoledì 20 agosto 2014

Quando la sofferenza degli altri bussa alla porta

Negli ultimi dieci giorni la scrittura era morta dentro di me, ero tutta protesa all'esterno, all'azione, dal momento in cui ho saputo di una mia cara sorella-cugina- amica ricoverata all'ospedale in condizioni critiche.
Prima il pianto, poi il mio daimoku per lei, forte e deciso.
Insieme i ricordi di una vita fa, quando tutti i giorni frequentavamo la stessa scuola, sedevamo allo stesso banco, studiavamo di pomeriggio insieme.
Parte del mio nome è anche il suo, e da piccole ci assomigliavamo come due gocce d'acqua.
Ma mentre lei è sempre stata una "piccola donna", in grado di studiare ma anche di cucinare, riordinare, io ero un po' piagnucolona, persa nei miei voli pindarici e poco concreta.
Mi ricordo quando da bambine uno zio la portò al mare, io non trovandola a casa piansi per una settimana.
Senza di lei non uscivo di casa, per quanto ero timida.
Poi siamo cresciute, siamo partite e ora viviamo lontane.
Le vicissitudini degli ultimi anni sono state tante, nella sua vita c'è stato molto dolore, e io ho cercato di starle vicino, quando lei me lo ha permesso.
Non tutti affrontano il dolore allo stesso modo: c'è chi si apre, c'è chi si chiude al mondo.
Le ho parlato al telefono, ma avevo un nodo alla gola terribile, ho dovuto riattaccare quasi subito.
Il pudore di mostrare il mio affetto immenso. Mi sono chiesta se è reciproco, se ancora lei pensa a me come 20 anni fa, o se invece il suo dolore la ha isolata in un luogo nel quale io non posso entrare.
Fa poca differenza saperlo, io le voglio molto bene,e voglio che lo sappia.
Ora sta meglio, e anche io.
Domani finalmente partirò per la mia terra e spero di riabbracciarla.

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