Due settimane fa sono stata per tre giorni a Barcellona per un corso di aggiornamento.
Non era mai stata tra le mie destinazioni, perchè nel mio immaginario "troppo simile" a casa, alla mia Sardegna, che ha ben leggibili i segni della dominazione spagnola.
In parte è vero, Barcellona dall'aereo era molto molto familiare, vederla a colpo d'occhio mi riporta subito a Cagliari, con tutta la sua splendida luce.
Il catalano a cui rispondo in italiano o in sardo, indistintamente.
Ma poi, Barcellona è Barcellona e sei all'estero.
Io nelle ampie vie e piazze a cercare il mare all'orizzonte.
Pezzi di medioevo e di modernità, colore e serietà austera, gomito a gomito.
La gente che riempie i tavolini fuori dai locali.
Io seduta ad assaporare un pranzo da sola, tapas e vino, i raggi del sole sulle labbra, la vita semplice che in fondo vorrei. L'allegria nell'aria, senza un motivo speciale, solo per rendere omaggio alla vita.
Il chiasso piacevole nelle Ramblas, l'orizzonte che brulica di vita oltre, altrove.
Ho immaginato una possibile vita lì, senza i freddi inverni, la malinconia, la solitudine tipici dell'Umbria.
Ho percepito un luogo in cui ciascuno può semplicemente "essere", senza aver bisogno di abiti costosi, auto di lusso, troppi fronzoli.
Come sarà davvero vivere lì?
Vorrei tornarci, per sorprendermi di nuovo.
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lunedì 30 novembre 2015
sabato 21 novembre 2015
Chiediamoci perchè
Condivido il pensiero di un mio carissimo amico che è riuscito a trovare le parole per raccontare questi giorni terribili.
L’umanità perduta
di Francesco A. P. Saggese
Adesso che abbiamo lavato le strade sporche di sangue, adesso che stiamo per seppellire i morti, adesso che la luce delle candele sulle nostre finestre si è spenta, adesso che il dolore si è soltanto disteso, adesso che il minuto di silenzio è appena trascorso, adesso che gli sciacalli della politica sono sull’uscio delle loro tane, adesso voglio capire, devo capire. Voglio alzare la mano e fare delle domande da semplice cittadino quale sono, che non ha nessuna risposta in tasca.
È vero che la guerra scatenata in Iraq nel 2003 dall’America del presidente Bush, con il sostegno della Gran Bretagna di Blair, alla ricerca delle armi di distruzione di massa mai trovate, ha causato l’ascesa dell’Isis?
A capo del sedicente stato islamico c’è il califfo Abu Bakr al-Baghdadi, che nel 2004 venne internato dalle forze irachene-statunitensi. È vero che la commissione Combined Review and Release Board chiese ed ottenne il suo rilascio incondizionato? Perché è stato permesso?
È vero che l’Isis è finanziato principalmente dall'Arabia Saudita a cui solo qualche settimana fa abbiamo stretto la mano? Quanti Paesi lo fanno?
Dove sono stati costruiti i proiettili che hanno ucciso per mano assassina e bestiale le persone di Parigi?
Chi ha fabbricato le loro armi?
Chi ha addestra i terroristi?
È vero che la Francia quest’anno raddoppierà i suoi introiti rispetto al 2014 per la vendita di armi?
È vero che l’Italia - il mio bel paese - vende armi per oltre 54 miliardi di euro, in buona parte distribuite tra Medio-Oriente e Nord Africa?
È vero che Stati Uniti, Francia, Cina, Russia e Regno Unito vendono al califfato oltre l’80% delle mine antiuomo che generano – ovunque – morte e terrore: si tratta di cinque paesi del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Dov’è l’Organizzazione delle Nazioni Unite?
È stato detto che gli atti terroristici sono dichiarazioni di guerra che costituiscono aggressioni verso la civiltà, è vero.
Ma noi, con le premesse di cui sopra, noi occidentali e in buona parte cristiani, quanta ‘civiltà’ crediamo di esportare?
Oggi di fronte a un problema di terrorismo internazionale che rende vulnerabili le nostre città, viene invocata ancora una volta come risoluzione finale e strategica la guerra, strumento in cui non ho mai creduto.
Dall’11 settembre del 2001 a oggi quante guerre abbiamo fatto? Quante sono in corso? Cos’è cambiato sul piano della sicurezza: siamo più sicuri?
Più passa il tempo e più parlare di pace sembra essere privo di senso; un senso che si sta perdendo, se gli affari degli Stati, quelli che fanno sfregare le mani, portano da tutt’altra parte.
A voi che uccidete e vi lavate la bocca con i versetti di un libro sacro chiedo: cosa vuol dire uccidere in nome di Dio?
Siete il frutto più amaro della terra, quello che si sputa; siete la risposta più crudele che l’uomo ha dato a se stesso, il fallimento vivente di questa civiltà, l’abnegazione stessa di Dio, avete costretto alla vergogna gente della vostra stessa fede che prova il nostro stesso dolore.
A voi signori presidenti e amministratori delegati, che vi definite anche cristiani, ma che continuate a impacchettare guerre, a voi che ora correte a difenderci dai mostri che avete generato, a voi che autorizzate la fabbricazione delle armi che poi vendete nei vostri traffici internazionali, a voi che state armando il mondo intero, domando: ma cosa pensa di voi il vostro Dio se ne avete uno, e se non lo avete chiedetevi che razza di uomini siete.
Io vi ritengo complici.
E non perdono, non ve lo meritate il mio perdono, fino a quando ci sarà un bambino che vivrà la guerra, fino a quando ci sarà un bambino soldato armato dai vostri fucili, io non vi perdono e vi riterrò corresponsabili. Non m’importa più delle vostre bandiere a mezz’asta, delle vostre audizioni in parlamento, del vostro sfilare dietro un corteo tutti in fila, non vi credo più, non vi giustifico più perché voi sapete.
Sono solo le parole di Antoine Leiris, marito di Hélène Muyal, morta nella strage del Bataclan e padre del piccolo Marvil, che mi aiutano a trovare delle risposte e che mi fanno comprendere che l’unica vera forza che ci salverà sarà l’amore, quello di un marito verso la propria moglie, quello di un padre verso il suo piccolo di diciassette mesi; ci salverà la forza dei genitori di Valeria Solesin e la dignità di altri morti, quelli che contano poco o nulla per l’occidente: quelli di Beirut, quelle dei curdi, degli sciiti, dei gay buttati giù dalle torri, dei cristiani perseguitati a Mosul e altrove, dei profughi affogati nel profondo Mediterraneo…
È solo il rispetto che ho verso la vita, è solo la responsabilità che devo avere da uomo e cittadino verso i bambini di oggi, che mi fanno trovare la forza per gridare ancora più forte l’urgenza di definire una politica estera europea comune, fondata sul dialogo interculturale e interreligioso, che riconosca al tempo stesso la centralità delle Nazioni Unite, anch’esse da riformare considerato i veti da cui è ingabbiata.
E noi, semplici uomini e donne, semplici cittadini che ci alziamo la mattina per andare a lavorare, o che lo stiamo ancora cercando un lavoro, o che facciamo le casalinghe, o che lavoriamo la terra, o che insegniamo in una classe, o che andiamo in fabbrica a lavorare per ore in una catena di montaggio, o che facciamo i fotografi, gli autisti, gli idraulici, i muratori, le sarte, i medici, gli impiegati; noi che aspettiamo un bambino o che non ne abbiamo, noi che ne abbiamo già due e ne vogliamo fare un altro, noi che cantiamo in un coro, noi che sediamo sui banchi di scuola, o che aspettiamo d’innamorarci, noi che ci inginocchiamo per pregare in una chiesa, in una moschea, in una sinagoga, noi che non crediamo più in nessun dio, noi dobbiamo essere forti, lungimiranti, coraggiosi, dobbiamo trovare la forza per ristabilire nuovi equilibri, nuove prospettive, dobbiamo tornare a salutarci per strada e a sorriderci, recuperare le periferie delle città e del mondo, integrare, studiare, dobbiamo riprendere i fili spezzati del dialogo nel tentativo di poter riaffermare l’umanità che ormai da tempo abbiamo perduto.
E se alla fine ci salveremo sarà solo per merito nostro.
Francesco A. P. Saggese
L’umanità perduta
di Francesco A. P. Saggese
Adesso che abbiamo lavato le strade sporche di sangue, adesso che stiamo per seppellire i morti, adesso che la luce delle candele sulle nostre finestre si è spenta, adesso che il dolore si è soltanto disteso, adesso che il minuto di silenzio è appena trascorso, adesso che gli sciacalli della politica sono sull’uscio delle loro tane, adesso voglio capire, devo capire. Voglio alzare la mano e fare delle domande da semplice cittadino quale sono, che non ha nessuna risposta in tasca.
È vero che la guerra scatenata in Iraq nel 2003 dall’America del presidente Bush, con il sostegno della Gran Bretagna di Blair, alla ricerca delle armi di distruzione di massa mai trovate, ha causato l’ascesa dell’Isis?
A capo del sedicente stato islamico c’è il califfo Abu Bakr al-Baghdadi, che nel 2004 venne internato dalle forze irachene-statunitensi. È vero che la commissione Combined Review and Release Board chiese ed ottenne il suo rilascio incondizionato? Perché è stato permesso?
È vero che l’Isis è finanziato principalmente dall'Arabia Saudita a cui solo qualche settimana fa abbiamo stretto la mano? Quanti Paesi lo fanno?
Dove sono stati costruiti i proiettili che hanno ucciso per mano assassina e bestiale le persone di Parigi?
Chi ha fabbricato le loro armi?
Chi ha addestra i terroristi?
È vero che la Francia quest’anno raddoppierà i suoi introiti rispetto al 2014 per la vendita di armi?
È vero che l’Italia - il mio bel paese - vende armi per oltre 54 miliardi di euro, in buona parte distribuite tra Medio-Oriente e Nord Africa?
È vero che Stati Uniti, Francia, Cina, Russia e Regno Unito vendono al califfato oltre l’80% delle mine antiuomo che generano – ovunque – morte e terrore: si tratta di cinque paesi del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Dov’è l’Organizzazione delle Nazioni Unite?
È stato detto che gli atti terroristici sono dichiarazioni di guerra che costituiscono aggressioni verso la civiltà, è vero.
Ma noi, con le premesse di cui sopra, noi occidentali e in buona parte cristiani, quanta ‘civiltà’ crediamo di esportare?
Oggi di fronte a un problema di terrorismo internazionale che rende vulnerabili le nostre città, viene invocata ancora una volta come risoluzione finale e strategica la guerra, strumento in cui non ho mai creduto.
Dall’11 settembre del 2001 a oggi quante guerre abbiamo fatto? Quante sono in corso? Cos’è cambiato sul piano della sicurezza: siamo più sicuri?
Più passa il tempo e più parlare di pace sembra essere privo di senso; un senso che si sta perdendo, se gli affari degli Stati, quelli che fanno sfregare le mani, portano da tutt’altra parte.
A voi che uccidete e vi lavate la bocca con i versetti di un libro sacro chiedo: cosa vuol dire uccidere in nome di Dio?
Siete il frutto più amaro della terra, quello che si sputa; siete la risposta più crudele che l’uomo ha dato a se stesso, il fallimento vivente di questa civiltà, l’abnegazione stessa di Dio, avete costretto alla vergogna gente della vostra stessa fede che prova il nostro stesso dolore.
A voi signori presidenti e amministratori delegati, che vi definite anche cristiani, ma che continuate a impacchettare guerre, a voi che ora correte a difenderci dai mostri che avete generato, a voi che autorizzate la fabbricazione delle armi che poi vendete nei vostri traffici internazionali, a voi che state armando il mondo intero, domando: ma cosa pensa di voi il vostro Dio se ne avete uno, e se non lo avete chiedetevi che razza di uomini siete.
Io vi ritengo complici.
E non perdono, non ve lo meritate il mio perdono, fino a quando ci sarà un bambino che vivrà la guerra, fino a quando ci sarà un bambino soldato armato dai vostri fucili, io non vi perdono e vi riterrò corresponsabili. Non m’importa più delle vostre bandiere a mezz’asta, delle vostre audizioni in parlamento, del vostro sfilare dietro un corteo tutti in fila, non vi credo più, non vi giustifico più perché voi sapete.
Sono solo le parole di Antoine Leiris, marito di Hélène Muyal, morta nella strage del Bataclan e padre del piccolo Marvil, che mi aiutano a trovare delle risposte e che mi fanno comprendere che l’unica vera forza che ci salverà sarà l’amore, quello di un marito verso la propria moglie, quello di un padre verso il suo piccolo di diciassette mesi; ci salverà la forza dei genitori di Valeria Solesin e la dignità di altri morti, quelli che contano poco o nulla per l’occidente: quelli di Beirut, quelle dei curdi, degli sciiti, dei gay buttati giù dalle torri, dei cristiani perseguitati a Mosul e altrove, dei profughi affogati nel profondo Mediterraneo…
È solo il rispetto che ho verso la vita, è solo la responsabilità che devo avere da uomo e cittadino verso i bambini di oggi, che mi fanno trovare la forza per gridare ancora più forte l’urgenza di definire una politica estera europea comune, fondata sul dialogo interculturale e interreligioso, che riconosca al tempo stesso la centralità delle Nazioni Unite, anch’esse da riformare considerato i veti da cui è ingabbiata.
E noi, semplici uomini e donne, semplici cittadini che ci alziamo la mattina per andare a lavorare, o che lo stiamo ancora cercando un lavoro, o che facciamo le casalinghe, o che lavoriamo la terra, o che insegniamo in una classe, o che andiamo in fabbrica a lavorare per ore in una catena di montaggio, o che facciamo i fotografi, gli autisti, gli idraulici, i muratori, le sarte, i medici, gli impiegati; noi che aspettiamo un bambino o che non ne abbiamo, noi che ne abbiamo già due e ne vogliamo fare un altro, noi che cantiamo in un coro, noi che sediamo sui banchi di scuola, o che aspettiamo d’innamorarci, noi che ci inginocchiamo per pregare in una chiesa, in una moschea, in una sinagoga, noi che non crediamo più in nessun dio, noi dobbiamo essere forti, lungimiranti, coraggiosi, dobbiamo trovare la forza per ristabilire nuovi equilibri, nuove prospettive, dobbiamo tornare a salutarci per strada e a sorriderci, recuperare le periferie delle città e del mondo, integrare, studiare, dobbiamo riprendere i fili spezzati del dialogo nel tentativo di poter riaffermare l’umanità che ormai da tempo abbiamo perduto.
E se alla fine ci salveremo sarà solo per merito nostro.
Francesco A. P. Saggese
martedì 10 novembre 2015
Dove sta la Buona Scuola (?)
La Buona Scuola tanto osannata sta solo nel cuore di noi docenti che ancora ci crediamo, che ancora diamo valore all'educazione, all'arte e alla cultura.
Noi che non ci fermiamo quando veniamo derisi, aggrediti, vessati.
Noi che a livello sociale siamo sempre e solo visti come fannulloni.
Noi che comunque sia, con il cartoncino di una pizza creiamo meraviglie.
Noi che con un niente improntiamo una lezione e facciamo ridere i bambini, in classi dove si sta come sardine, dove gli spigoli ti pungono le anche, dove ancora c'è solo la lavagna con i gessi che fa tossire e sporca i vestiti e le borse.
Noi che stiamo pure sulle scatole ai Dirigenti, quando diciamo la verità e denunciamo le magagne.
Noi che nonostante l'amarezza, guardiamo oltre e crediamo nel nostro sogno.
Questa è la buona Scuola che stiamo vivendo.
Il Ministero ha sventolato sotto il naso dei soldini che avranno solo alcuni, ma i criteri...mica ce li dice, dobbiamo deciderli noi, scannandoci l'un l'altro, ognuno che tira l'acqua al suo mulino.
Prendere qualcosa in più per le classi numerose? Ok, ma quello è proprio merito o casualità? Ma certo questa casualità porta a molte più ore di lavoro che va riconosciuto.
Ma chi per esempio ha una classe meno numerosa ma sperimenta il CLIL? Il suo sforzo pioneristico non andrebbe riconosciuto?
Non se ne esce. Non ci si mette d'accordo.
E che dire della dubbia pubblicità commerciale apparsa nelle scuole?
Scuola asservita al denaro? Che poi noi non abbiamo visto. Bo.
Purtroppo ho avuto un brutto risveglio.
Io non posso star zitta.
Resistere e lottare.
Per fortuna i bambini, sono loro la Buona Scuola.
Noi che non ci fermiamo quando veniamo derisi, aggrediti, vessati.
Noi che a livello sociale siamo sempre e solo visti come fannulloni.
Noi che comunque sia, con il cartoncino di una pizza creiamo meraviglie.
Noi che con un niente improntiamo una lezione e facciamo ridere i bambini, in classi dove si sta come sardine, dove gli spigoli ti pungono le anche, dove ancora c'è solo la lavagna con i gessi che fa tossire e sporca i vestiti e le borse.
Noi che stiamo pure sulle scatole ai Dirigenti, quando diciamo la verità e denunciamo le magagne.
Noi che nonostante l'amarezza, guardiamo oltre e crediamo nel nostro sogno.
Questa è la buona Scuola che stiamo vivendo.
Il Ministero ha sventolato sotto il naso dei soldini che avranno solo alcuni, ma i criteri...mica ce li dice, dobbiamo deciderli noi, scannandoci l'un l'altro, ognuno che tira l'acqua al suo mulino.
Prendere qualcosa in più per le classi numerose? Ok, ma quello è proprio merito o casualità? Ma certo questa casualità porta a molte più ore di lavoro che va riconosciuto.
Ma chi per esempio ha una classe meno numerosa ma sperimenta il CLIL? Il suo sforzo pioneristico non andrebbe riconosciuto?
Non se ne esce. Non ci si mette d'accordo.
E che dire della dubbia pubblicità commerciale apparsa nelle scuole?
Scuola asservita al denaro? Che poi noi non abbiamo visto. Bo.
Purtroppo ho avuto un brutto risveglio.
Io non posso star zitta.
Resistere e lottare.
Per fortuna i bambini, sono loro la Buona Scuola.
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